Marxismo tendenza Franz Kafka




Insieme ai saggi e ai memoir dedicati da Scholem all’amico, questa corrispondenza ha contribuito in modo determinante all’interpretazione dell’opera di Benjamin, in particolar modo in Italia. Scholem imposta la sua lettura sull’opposizione tra ebraismo e marxismo, con l’«elemento ebraico» a svolgere un ruolo decisivo: «Ogni sua profonda intuizione, sotto l’aspetto sia creativo sia distruttivo, proveniva dal cuore dell’ebraismo» (Walter Benjamin e il suo angelo, Adelphi 1996, pp. 101 e 110). Il pensiero di Benjamin è per Scholem la «secolarizzazione di un’apocalittica ebraica» (ivi, p. 107); per questo egli reagisce con malcelato disappunto a quella che gli appare la «professione di fede comunista» contenuta nel primo articolo di Benjamin per la «Zeitschrift für Sozialforschung» (lettera del 19 aprile 1934). Da Parigi l’amico replica che «il suo comunismo tra tutte le forme e modi di espressione possibili è quanto di più lontano da una professione di fede», e che per lui si tratta di «nient’altro che il male minore» (6 maggio 1934). Piuttosto che l’autodifesa, tuttavia, è interessante osservare lo spostamento che nella stessa lettera Benjamin imprime al discorso. Parafrasando il celebre graffito del Sessantotto parigino, si potrebbe parlare, per Benjamin, di un marxismo «tendenza Franz» (Kafka). È in Kafka che Benjamin si riconosce senza riserve, per il fatto che «non assume nessuna delle posizioni che il comunismo combatte con giusta ragione».

L’opera di Kafka – scrive il 12 giugno 1938 – è un’ellissi i cui fuochi, molto distanti tra loro, sono determinati da una parte dall’esperienza mistica (che è soprattutto esperienza della tradizione), e dall’altra dall’esperienza del cittadino della metropoli moderna». 

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