Roberto Mordacci, Elogio dell'immoralista, Bruno Mondadori, Milano 2009.
Un elogio dell'immoralismo contro il moralismo cieco e conformista, la sterile amoralità e l'immoralità fine a se stessa. Tenendo come punto di riferimento costante il pensiero di Nietzsche e muovendosi tra la cultura antica e quella contemporanea, tra suggestioni letterarie e drammaturgiche, l'autore guarda alla morale nei secoli, e considera come vere disposizioni all'agire responsabile la tendenza a dubitare delle verità precostituite e la ricerca autonoma di norme di comportamento, ricavate dall'esperienza.
Troppo spesso scambiato per un libertino, un immorale, un amorale o uno scettico, l’immoralista è definito dall’autore come colui che vuole «dare voce a un movimento positivo e creativo della vita, che cerca nei valori e nella vita morale non una serie di limiti, divieti, impedimenti e sensi di colpa, ma un insieme variabile di forme di vita e pratiche che permettano di dispiegare le capacità personali degli individui» (p. 172). Il tema della libertà è il filo rosso del saggio di Mordacci, che considera la morale come la pratica di una costante ricerca di «buone ragioni, cioé ragioni in grado di giustificare le nostre azioni di fronte a qualunque altro agente razionale» (p. 167) per poter vivere nella libertà personale intesa come autonomia. La tesi della libertà del volere è sostenuta con forza dal filosofo, che si scaglia contro l’allontanamento della morale dalla vita.
Egli delinea, in un appassionato excursus filosofico e letterario, il ritratto dell’immoralista, caratterizzato da un «certo istinto di trasparenza, la ricerca di una verità non roboante e soprattutto non rassicurante» (p. 5); gli esempi più significativi sono quelli di Trasimaco, giovane e tenace interlocutore di Socrate, ricordato da Platone nella Repubblica e di Friedrich Nietzsche. Di quest’ultimo si evidenzia la critica all’«opposizione tra morale e vita, l’idea cioé che l’agire debba attenersi a regole che impongono l’allontanamento dalla vitalità, del rischio di scegliere in proprio, dall’esercizio del volere indipendente» (p. 49) rivendicando l’originaria creatività del volere come forza di vita. Altre figure citate sono quella de Il nipote di Rameau di Diderot e di Michel, protagonista de L’immoralista di André Gide.
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