Sergio Quinzio ----Radici ebraiche del moderno



RISVOLTO

In questi ultimi anni Quinzio è intervenuto più volte su temi urgenti del mondo moderno. E ogni volta ha voluto ritrovare in quei grovigli il filo del pensiero e dell’influenza ebraica, nelle visioni politiche come nelle arti, nella letteratura come nell’etica. Se il mondo moderno ha assunto nel tempo una certa fisionomia – e forse è sul punto di perderla –, questo si deve anche alla potenza di un’eredità ebraica che, mischiandosi e spesso opponendosi all’eredità greca, ha dato origine a forme e pensieri di ogni specie, che ne risentono in modo evidente o occulto, anche quando in apparenza la disconoscono. Ogni pensiero utopico, per esempio, prende luce dalla visione messianica. Ma anche la pretesa di leggere i sogni nasce su presupposti ebraici. E, prima di ogni altra, è la nozione stessa di «storia» che, nel senso occidentale, è segnata dall’ebraismo come «tempo a senso unico e senza ritorni». Mentre questa visione della storia, a sua volta, rimanda a una specifica concezione del sacro: «Non gli oggetti dello spazio, statici anche nel tempo, ma ciò che accade nella continua innovazione e imprevedibilità del tempo e non permane fisso nello spazio – l’evento – è per eccellenza sacro nell’ebraismo. Il sacro ebraico è pochissimo legato alle cose: le tavole della Torah, scritte dal dito di Dio, hanno potuto essere subito infrante da Mosè appena disceso dal Sinai. Il sacro ebraico è, per così dire, mobile e fluido come il tempo, non ha la struttura compatta e rigida del sacro comune alle altre grandi tradizioni religiose dell’umanità. Il sacro ebraico non è atemporale, ma s’inserisce in una storia, ha una storia»

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Ebraismo, modernità e secolarizzazione in Sergio Quinzio
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Rai Educational/Ebraismo e modernita’  Sergio Quinzio con Giancarlo Burghi

Tornando al tema del nomadismo ebreo, che Lei ha indagato come fatto non solo geografico, etnico, ma anche spirituale e culturale, Lévinas, ad esempio, oppone l'eroe pagano per eccellenza, Ulisse, al credente Abramo. Di che tipo di opposizione si tratta?

E' un'opposizione per me molto convincente. Ulisse fa un percorso circolare; come la storia è una storia ciclica, così il percorso, il tempo è ciclico. Ulisse parte, compie una vicenda molto tormentata, molto dolorosa, piena di prove, però ritorna a Itaca. Questa è la vicenda omerica. Invece la vicenda di Abramo è una vicenda in cui anche lo spazio, come il tempo, è lineare, perché: "Abramo, va e parti!". Per dove? Nessuno dice dove devi andare, non c'è nessun luogo al quale tu debba tornare o al quale tu debba approdare, tu semplicemente vai. In questo senso è un nomadismo molto più radicale; forse per questo, in epoca cristiana si aggiunge all'Ulisse la vicenda dantesca dell'Ulisse che fuoriesce dalle colonne d'Ercole e finisce nel Purgatorio, perché in epoca cristiana, in effetti, si percepisce che la vicenda di Ulisse è una vicenda in qualche modo conclusa, mentre la coscienza, la consapevolezza e la sensibilità dell'uomo cristiano, dell'uomo fondato sulla Bibbia, sulla tradizione ebraico-cristiana, hanno invece il senso del racconto ebraico dei due ebrei che si incontrano: "Dove vai?" "Parto" "Ma dove vai?" "Vado lontano" "Ma lontano da dove?". Non c'è un dove: in questo senso Abramo va, ma non ha nessuna garanzia del senso, della direzione e del dove dovrà giungere. Quindi anche lo spazio, non solo il tempo ebraico, è aperto.


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