Emilio D’Agostino--La. Torre di Babele due interpretazioni tra Pasolini, Apel Hillman ed Orwell. E quando si ha un'unica lingua, si ha la hybris.
"....un passo di Pier Paolo Pasolini in cui egli accennava con rimpianto alla "Babele linguistica" nell'Italia pre-democratica. Giunti alla chiusura di questo intervento, credo sia utile chiarire tale questione, visto che la parola Babele si associa a due interpretazioni: una positiva e una negativa. In particolare, devo osservare che la seconda è certamente quella più comune e che, in base a essa, il termine è sinonimo di confusione (linguistica), di impossibilità di mutua comprensione. Non sarà impossibile, su tale base, ascoltare espressioni di denigrazione della democrazia: la democrazia è una babele, il parlamento è una babele e simili. Ma, come è noto, c'è anche un'altra interpretazione, quella per cui essa è sinonimo di ricchezza (linguistica) e di pluralità delle culture. Ma veniamo alla narrazione biblica in Genesi 11, 1-9:
"Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese del Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cuciniamoli al fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non dispenderci su tutta la terra". Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: "Ecco, essi sono un popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro". Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.[15]"
Si deve allo splendido saggio di Apel (1963)** la messa in evidenza della seconda interpretazione: quella legata alla festività della Pentecoste.[16] La discesa dello Spirito Santo comporta l'elargizione di una serie di doni, come si celebra nel Veni Creator:
Veni, creator Spiritus,
...
Qui diceris Paraclitus,
donum Dei altissimi,
fons vivus, ignis, caritas
et spiritalis unctio.
...
Hostem repellas longius
pacemque dones protinus;
ductore sic te praevio
vitemus omne noxium.
...
Negli Atti degli Apostoli (Atti. 2,1-21), un segno caratterizzante della Pentecoste è il dono delle lingue che si contrappone, in una sorta di parallelismo, all'episodio della Torre di Babele nell'Antico Testamento. Esso è un dono di Dio che dà pace, unità e comunione. Apel sottolinea come questo cambiamento sia particolarmente significativo nella concezione del linguaggio e delle lingue: queste, in particolare, non sono più viste come segno del castigo divino, ma come ricchezza benefica. La stessa diversità delle varie comunità è interpretata come sovrabbondanza dell'umanità. Non c'è più l'indistinta comunità originaria, ma una poliforme moltitudine di società, etnie, civiltà. In un certo senso, si può dire che è da questo momento che inizia la "storia umana" come la intendiamo noi. E' l'inizio di una negoziata fratellanza, oppure il primo momento di una dis-graziata conflittualità: la storia umana contraddistinta da una potenziale positività, oppure sempre da una potenziale negatività. Anche in questo caso, il tema della "scelta" (aut-aut), come quello della "responsabilità", riappare.
Lo psicoanalista junghiano James Hillman, più di recente, ha ripreso la questione "Babele", in occasione di una conferenza in Italia nel 1999.*** Pur riprendendo nella sostanza l'argomentazione di Apel, Hillman aggiunge alcune considerazioni che mi consentono di approfondire la "Babele" pasoliniana. Egli affronta tre temi. Il primo: quello dell'origine di un così gran numero di lingue. Il secondo: quello della molteplicità dei popoli su tutta la terra. Il terzo: il problema della hybris. In particolare, in riferimento alla terza questione:
[...] quando il popolo è ancora un unico popolo che concepisce l'idea di arrivare fino al cielo o, come dicono più tardi i commentatori ebrei, che matura l'intenzione di attaccare il cielo, di ingaggiare una guerra con Dio, di innalzare idoli o di distruggere il cielo con lance e frecce.
La punizione fu: a ogni popolo[17] fu assegnata una lingua particolare, e mentre prima tutta la terra aveva un unico modo di esprimersi, ora gli uomini furono dispersi, occuparono l'intera geografia del pianeta, ed ebbero molte lingue. Quindi la dispersione su tutto il pianeta e la grande varietà dei luoghi geografici sono legate alla molteplicità delle lingue, e costituiscono una risposta alla hybris dell'unificazione.[18]
E' quando c'è unicità che si realizza la hybris della torre, ed è allora che si ha un'unica lingua. E quando si ha un'unica lingua, si ha la hybris.
La punizione divina non consiste nella distruzione degli uomini, come avviene nel caso di Sodoma e Gomorra o nel caso del Diluvio: non si distrugge il mondo, ma si disperdono gli uomini per tutto il mondo. In altri termini, si crea la varietà. Hillman annota:
"E' difficile dire che si tratti davvero di una punizione. E' per impedire l'atto di hybris, per impedire l'uniformità che si ha la diversità. E' un elemento su cui riflettere, in mezzo a tante poderose spinte verso l'uniformità, nella scienza e nell'economia, negli affari, nella politica, e via dicendo."
Per Hillman, l'aspirazione ad una scienza unificata, a un diritto internazionale, a una Chiesa e a una lingua universali, esprime l'idea di aspirazione. Speranza in una pace universale e nella possibilità di soluzione di tutti i conflitti attraverso l'unità:
Ma non è questa la lezione che ci viene da Babele. Babele ci dice che l'unità produce una torre, e non è questo che il Signore vuole: lui vuole la diversità, la varietà.
Da una considerazione come questa nasce quella, ormai non tanto immaginaria, analisi di George Orwell nel suo 1984: la Neolingua in opposizione alla Archelingua' che viene ironicamente derisa per ciò che Orwell definisce "la sua vaghezza e inutilità di significato". Se l'obiettivo della Neolingua è quello di restringere il margine di errore, ogni concetto di cui possiamo aver bisogno sarà espresso precisamente da una sola parola, con un significato rigidamente definito e tutti i significati accessori tagliati fuori e dimenticati. Anno dopo anno, sempre meno parole, e il margine di consapevolezza sempre più ridotto. Errore, unicità dei significati, conseguente eliminazione dell'ambiguità, della polisemia e dell'opacità: in sintesi eliminazione della varietà e di quello che molte pagine fa ho richiamato come tratto fondamentale del linguaggio e delle lingue. Distruzione di quella "abbondanza dell'essere" associato alla "abbondanza delle lingue": dstruzione della consapevolezza. Il riferimento al tanto amato da me Feyrabend è obbligatorio. Orwell prevedeva, ma prima di lui lo avevano già fatto gli Atti degli Apostoli. Hillman annota:
"Che dire, allora, del bisogno di ambiguità, di suggestività, di enfasi, di ironia, di lusinga, di insulto, di complessità, di fantasia? Che dire degli effetti retorici? Cosa accade alle immagini nella lingua quando, come dice Orwell, "il significato è definito rigidamente, e tutti i significati accessori vengono tagliati fuori"? [...] Saremo ancora capaci di leggere Ariosto, Tasso o Shakespeare, visto che la loro forza sta nell'eccesso, nell'esagerazione, nell'iperbole?
E l'Italia descritta da Pasolini? Essa è per Hillman storia di luoghi, insediamenti locali, città, e il modo di parlare di ogni luogo. I sapori e gli odori di ogni luogo: la lingua della anima mundi e la lingua della anima dei luoghi. Con massima brevità: ricchezza della varietà. E come ben sanno i sociolinguisti della "competenza multipla". E come ben aveva predetto Pier Paolo Pasolini: un pervertimento delle idee di democrazia e di progresso che avrebbe portato all'anemia linguistica, all'uniformazione del sorriso stupido, al ritrarsi impaurito in case isolate pur se in grandi condomini. All'uniformità della politica, all'assenza di idee, magari anche sbagliate, all'assenza di regole. Al Grande Fratello cellularizzato, alla dimensione politica della maggioranza omologata che offre il proprio consenso a un Princeps, alla crisi della democrazia, al significato unico e, comunque, impreciso, della corrispondente parola: democrazia.
***
**K. O. Apel (1963), Die Idee der Sprache in der tradition des Humanismus von dante bis Vico, Bouvier Verlag, Bonn, trad. it. L'idea di lingua nell'umanesimo da Dante a Vico, il Mulino, Bologna, 1963
***J. Hillman (1999), In lode di Babele, conferenza tenuta presso il Centro interdipartimentale di Studi Antropologici sulla Cultura Antica, 17 novembre 1999, Univ. di Siena
[15] Dal punto di vista archeologico, si fa corrispondere la biblica Torre di Babele alla gigantesca ziqqurat iniziata dal sovrano babilonese Nabucodonosor I (XII secolo a.C.). L'opera rimase incompiuta fino a qualche secolo dopo, con i sovrani della dinastia caldea Nabopolassar e soprattutto Nabucodonosor II (VII secolo a.C.). La ziqqurat Etemenanki, dedicata al dio Marduk, nel periodo di Nabopolassar era alta 30 cubiti (circa 15,30 o 22,90 m), come si deduce dalle descrizioni del figlio Nabucodonosor II. Fu visitata anche da Erodoto, che, nonostante le distruzioni causate dal re persiano Serse I, la descrive come un monumento ancora imponente.
[16] La festività della Pentecoste è di origine ebraica ed è una delle tre festività, dette Shalosh regalim, di pellegrinaggio a Gerusalemme. Essa si riferisce allo Shavuot (lett. "settimane"), celebrato sette settimane dopo La Pasqua ebraica, iniziando a contare dal secondo giorno di Pasqua, il 16 di Nisan. La festività ebraica era legata alle primizie del raccolto e alla rivelazione di Dio sul Monte Sinai. Nella successiva tradizione cristiana, la Pentecoste celebra la discesa dello Spirito Santo interpretato come la nuova legge donata da Dio ai suoi fedeli e la nascita della Chiesa. Questa festa viene quindi detta anche Festa dello Spirito Santo e conclude le festività del Tempo pasquale.
[17] In realtà, Apel ricorda come a ogni "mestiere" fu assegnata una lingua. Ciò mi pare più significativo, giacchè questa precisazione consente di attribuire a ogni "popolo" una sua specificità, in particolare quella relazione tra Volk e Sprachgeist celebrata, molto più tardi, Da W. Von Humboldt in Über den Nationalcharakter ded Sprachen (Heidelberg, 1808).
[18] Hillman nota come esistano moltissimi miti delle origini; non dell'origine della lingua, ma della costruzione di una torre che arrivi a toccare il cielo - i Nyambi ne hanno una in Messico, a Cholula, e in Messico ne hanno una pure i Toltechi, nell'Assam ce l'hanno i Cuki, in Birmania ce l'hanno i Karen: si tratta sempre di manifestazioni di hybris, di superbia, di arroganza, del tentativo di scalare e di aggredire la potenza di Dio
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Religione e Democrazia
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